Da Gioia dell' 11 settembre 1999. Si tratta di un riquadro
firmato da Antonella Piperno e inserito in una serie di servizi dal titolo
"Donne nel pallone". Carolina aveva da poco preso la guida della Viterbese
e quindi non poteva mancare qualcosa su di lei. La foto pubblicata è
firmata Lapresse. Nella didascalia si riporta la solita ricorrente inesattezza:
Carolina non è la prima allenatrice di una squadra maschile tout
court bensì di una squadra maschile professionistica (Gabe KW)
A destra Carolina Morace, 35 anni, in panchina. È
la prima allenatrice di una squadra di calcio maschile: la Viterbese (C1).
Che con lei tenta la scalata alla serie B.
L' allenatrice
UN MISTER
DI NOME
CAROLINA
Altro che mister, o addirittura "mistera", con l' accento sulla i. Il primo
allenatore donna di una squadra di calcio maschile si farà chiamare
semplicemente Carolina. Una scelta informale che non deve stupire se sulla
panchina c'è Carolina Morace, 35 anni, Acquario ascendente Leone,
una vita e una carriera controcorrente.
Da bambina la scuola di calcio, l' esordio in serie B a 13 anni, seguito
da quello in A e in Nazionale un anno dopo, con dodici scudetti vinti e
550 gol segnati. Adesso, dalla panchina della Viterbese (serie C1) rompe
anche l' ultimo dei tabù maschili. E a Gioia chiarisce che
in campo sarà se stessa.
Allora, niente urlacci dalla panchina ? L' autorevolezza non dipende da queste cose. I giocatori ti rispettano
se dimostri di avere personalità e di saper fare bene il tuo mestiere.
Il mio compito alla Viterbese non è di dimostrare di essere dura
quanto un uomo. Ma di essere un buon allenatore.
Si sente sotto esame ? Non più di un Capello alla Roma o di un Lippi all' Inter. Se
dovessi fallire sarà Carolina Morace ad aver sbagliato e non l'
allenatore donna, sia chiaro.
Da bambina ha mai sognato di allenare una squadra maschile ? Sognavo di diventare un avvocato, ci sono riuscita. Lo sport mi ha
portato, per caso, a fare carriera anche nel calcio.
Perché per caso ? Vicino a casa mia, a Venezia, c'era un campetto di calcio. Ho cominciato
lì a tirare i primi calci, dopo la scuola, con mia sorella e mio
fratello. E quando avevo undici anni sono stata tesserata nel Cà
Bianca di Venezia.
A casa come la presero ? Ho avuto la fortuna di avere una madre e un padre intelligenti, che
non mi hanno mai ostacolato. Una vera rarità.
Morace e lo spogliatoio: come vincere gli inevitabili imbarazzi
? Prima della partita faccio sapere ai ragazzi che entro dieci minuti
sarò nello spogliatoio e che mi piacerebbe trovarli in calzoncini.
E alla fine dell' incontro non vado a trovarli sotto la doccia. Ma non
l' ho mai fatto neanche quando allenavo squadre femminili.
La sua vita cambierà ? Sì. Dovrò abbandonare la mia professione di avvocato
civilista e questo mi dispiace. Per il resto continuerò ad abitare
a Roma, facendo la pendolare con Viterbo, ad andare al cinema e a leggere
i miei libri.
Crede che il suo successo gioverà al calcio femminile ? Lo spero, ma la strada del calcio femminile è in salita. Le
professioniste Usa alla Mia Hamm sono ancora un sogno, qui le calciatrici
restano dilettanti. E la maggior parte delle ragazze vanno in campo dopo
il lavoro, magari dopo otto ore in fabbrica.
Antonella Piperno