Il lavoro minorile
La vergogna dei 250 milioni di schiavi bambini
Fonte: Unicef Italia
Il lavoro minorile nel mondo
Non esistono statistiche complete sul lavoro minorile; nella gran parte
dei casi i governi e i datori di lavoro si rifiutano di ammetterne l'esistenza,
o comunque non compiono rilevazioni statistiche ufficiali (funziona così
anche nel nostro paese, doveil lavoro minorile è illegale e quindi
è scomparso dalle statistiche ufficiali, mentre tutte le stime concordano
sul fatto che almeno mezzo milione di bambini lavora).
Secondo le stime dell'OIL (Organizzazione Mondiale del Lavoro) e di
vari organismi non governativi, il numero di bambini lavoratori nel mondo
oscilla intorno ai 250 milioni, distribuiti quasi ovunque: in Asia, Africa,
America Latina, ma anche in Europa e in America del Nord. Qualche dato:
in India le stime più accreditate parlano di 44 milioni di bambini
lavoratori; in Pakistan 8 milioni di piccoli lavoratori (10-14 anni) costituiscono
il 20% della popolazione attiva, e sono impiegati in ogni sorta di lavoro,
dall'industria all'edilizia, spesso in condizioni di semi-schiavitù;
in Bangladesh i bambini che lavorano, sia
nell'industria (tessile soprattutto) per l'esportazione sia nell'artigianato
sono 1/4 dell'intera popolazione infantile, e l'UNICEF stima che i bambini
svolgano ben 300 diversi tipi di lavoro; in Nepal il 60% dei bambini svolge
lavori che impediscono il loro normale sviluppo e particolarmente grave
è la situazione delle bambine, il cui carico di lavoro è
in genere di 2-3 volte superiore a quello dei maschi; il 32% della forza
lavoro in Thailandia è costituito da bambini, impiegati in massima
parte nella produzione di articoli per l'esportazione; nelle Filippine
secondo le stime ufficiali i piccoli lavoratori sono 2.200.000, ma molti
di più sono occupati nel lavoro nero. in Nigeria (uno dei
più ricchi paesi africani) lavorano circa 12 milioni di ragazzi;
in Brasile le stime più prudenti parlano di 7 milioni di bambini
al lavoro, cui vanno aggiunti tutti i piccoli che vivono di espedienti
sulle strade; a San Paolo si calcola che il 20% dei redditi familiari sia
garantito dal lavoro minorile;
Un fatto è certo: a dispetto delle leggi nazionali e internazionali,
il lavoro minorile si continua a praticare nel mondo e forse in certi paesi
è anche aumentato. Se oggi molti ragazzi svolgono attività
consentite e regolamentate dalla legislazione nazionale, molti di più
lavorano nell'illegalità. Esistono ancora bambini minatori; piccoli
pastori "assunti" illegalmente che lavorano 15 ore al giorno; bambini servitori;
operai stagionali in miniatura costretti al lavoro in campi infestati dai
pesticidi con seri rischi per la salute; bambini impiegati in piccole fabbriche
che manipolano minuscoli fili metallici, operazione assai pericolosa per
la vista; bambini che lavorano nel commercio, nelle piccole attività
industriali o che si guadagnano da vivere in strada con mestieri sempre
diversi - legali e illegali.
Una realtà che non tocca soltanto i paesi in via di sviluppo.
Per smentire il diffuso pregiudizio che il lavoro minorile riguardi esclusivamente
i paesi con economie "arretrate" può bastare un solo esempio, quello
degli Stati Uniti d'America: qui lavorano circa 5 milioni e mezzo di ragazzi,
e le violazioni delle leggi che regolamentano il lavoro dei minori sono
aumentate del 250% tra il 1983 e il 1990. Nel 1990 un controllo a sorpresa
del Ministero del Lavoro nell'arco di tre giorni ha scoperto 11.000 bambini
che lavoravano clandestinamente.
A fronte di questa complessa ed estesa realtà l'UNICEF interviene,
in collegamento con le organizzaioni non governative locali e con gli uffici
nazionali dell'OIL, con due tipi di azioni: da un lato programmi di sostegno
all'economia familiare, che rendano meno necessario il ricorso al lavoro
dei più piccoli, dall'altro con interventi a favore dei bambini
lavoratori, per tutelarli (anche legalmente) e per garantire loro possibilità
di scuola e istruzione professionale. In tutti o quasi i paesi, infatti,
c'è uno stretto rapporto tra abbandono della scuola e lavoro minorile:
e poter continuare in qualche modo la scuola è, per i bambini, l'unica
speranza di riuscire a liberarsi dalle catene dello sfruttamento. Allo
stesso tempo è necessario, se si vuole rendere realistico l'obiettivo
di eliminare il lavoro minorile, creare alternative per i ragazzi che già
lavorano, che consentano loro di acquisire istruzione e qualificazione
professionale ma garantiscano anche un reddito minimo, per evitare che
il proibizionismo di principio si traduca di fatto in un proliferare del
lavoro nero.
Spesso si discute dell'opportunità di applicare sanzioni commerciali
per combattere il lavoro minorile. Ma, come ricorda l'organizzazione non
governativa Defense for Children International, tali misure "potrebbero
effettivamente apportare un cambiamento nella vita dei bambini che lavorano
solo se venissero prese nel quadro di strategie nazionali e internazionali
per combattere la povertà e l'ingiustizia sociale e per difendere
i diritti dei bambini che lavorano, con la partecipazione dei bambini stessi".
Spesso si è dovuto constatare che persino la minaccia di sanzioni
commerciali può portare certe industrie e certi datori di lavoro
a licenziare i loro giovani lavoratori; questo, in effetti, è ciò
che è accaduto due anni fa in Bangladesh, a seguito di alcune proposte
di legge al Parlamento americano per vietare l'importazione di tessili
dal Bangladesh, prodotti col lavoro minorile.
Come poi si è scoperto, grazie ad una indagine compiuta dall'UNICEF
in collaborazione con l'OIL, molti di quei bambini licenziati si sono ritrovati
in una situazione assai peggiore di quella in cui si trovavano in precedenza,
perché sono stati costretti a lavorare in condizioni ancor peggiori,
senza poter frequentare più la scuola. Si tratta di un risultato
che nessuno certo vuole ottenere.
Stanno funzionando molto bene, invece, i 350.000 centri di scuola informale
per i piccoli lavoratori creati negli ultimi anni in India: una possibilità
di un futuro diverso per ragazzi che hanno dovuto lasciare la scuola regolare,
che dà sostanza ed efficacia agli interventi di controllo nei settori
ad alto impiego di lavoratori bambini. Iniziative di promozione di marchi
commerciali che garantiscano, con un meccanismo analogo a quello del "controllo
di qualità", il fatto che un determinato prodotto non sia stato
fabbricato utilizzando lavoro minorile risultano particolarmente efficaci,
soprattutto per i prodotti destinati all'esportazione: il marchio "Rugmark",
ad esempio, contrassegna i tappeti indiani prodotti senza impiego di lavoro
minorile, ed è assegnato da una commissione congiunta (UNICEF, OIL,
ONG locali, produttori). In Thailandia i programmi di sviluppo rivolti
alle famiglie contadine delle zone più povere si stanno rivelando
un utile strumento per prevenire il "mercato delle braccia" che spesso
costringe i contadini poveri a vendere i propri figli come forza lavoro
per le industrie cittadine, mentre si attuano una serie di interventi per
riqualificare e reinserire i bambini lavoratori, evitando che cadano nell'alternativa
terribile della prostituzione minorile Scuola, formazione professionale,
assistenza alle famiglie povere, alleanza con le ONG locali: questo è
l'impegno dell'UNICEF, nella lunga e complicata battaglia contro lo sfruttamento
del lavoro dei bambini.
Il lavoro minorile, un problema globale
Ma il problema non riguarda certo solo il Pakistan. Non esistono statistiche
complete sul lavoro minorile nel mondo, perché nella gran parte
dei casi i governi e i datori di lavoro si rifiutano di ammetterne l'esistenza,
o comunque non compiono rilevazioni statistiche ufficiali (funziona così
anche nel nostro paese, dove il lavoro minorile è illegale e quindi
è scomparso dalle statistiche ufficiali, mentre tutte le stime concordano
sul fatto che almeno 300mila bambini lavorano).
Secondo le stime dell'UNICEF e dell'ILO (Organizzazione Internazionale
del Lavoro) il numero di bambini lavoratori nel mondo oscilla intorno ai
250 milioni, distribuiti quasi ovunque: in Asia, Africa, America Latina,
Europa e in America del Nord. Qualche dato:
* in India le stime più accreditate parlano di 44 milioni
di bambini lavoratori;
* in Bangladesh i bambini che lavorano nell'industria (tessile soprattutto)
per l'esportazione e nell'artigianato sono 1/4 dell'intera popolazione
infantile;
* in Nepal il 60% dei bambini svolge lavori che impediscono il loro
normale sviluppo;
* il 32% della forza lavoro in Thailandia è costituito da bambini,
impiegati soprattutto nella produzione di articoli per l'esportazione;
* nelle Filippine secondo le stime ufficiali i piccoli lavoratori sono
2.200.000, ma molti di più sono occupati nel lavoro nero;
* in Nigeria (uno dei più ricchi paesi africani) lavorano circa
12 milioni di ragazzi;
* in Brasile le stime più prudenti parlano di 7 milioni di bambini
al lavoro, cui vanno aggiunti tutti i piccoli che vivono di espedienti
sulle strade.
Un fatto è certo: a dispetto delle leggi nazionali e internazionali,
il lavoro minorile si continua a praticare nel mondo. E in larga parte
è un lavoro invisibile: bambini minatori; piccoli pastori "assunti"
illegalmente che lavorano 15 ore al giorno; bambini servitori; braccianti
in miniatura costretti al lavoro in campi infestati dai pesticidi; bambini
che lavorano nel commercio, nelle piccole attività industriali o
che si guadagnano da vivere in strada con mestieri sempre diversi - legali
e illegali.
Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo di visitare www.Unicef.it
che ha attualmente la più ampia documentazione in merito oltre,
naturalmente, a tutti i rapporti Unicef sul lavoro minorile degli ultimi
anni
Trovate la versione integrale di questo reportage su www.promiseland.it
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