Dalla Nuova Ecologia del gennaio 2000

CAMPAGNE. Salari da fame, orari impossibili, diritti al bando. Parte dal Belgio la sfida al mercato selvaggio dello sport

Un calcio al pallone?

Purché sia "puIito"

L’obiettivo: costringere l’Uefa e il Comitato organizzatore degli Europei 2000 ad applicare il codice etico varato dalla Fifa e dall’associazione dei sindacati internazionali. Prende il via la raccolta di firme e si punta sulla mobilitazione dei calciatori.

di Massimiliano Di Giorgio

Nel calcio, si dice, l’unica cosa certa è che il pallone è rotondo. Ma chi l’ha cucito, quel pallone? E quanto ha guadagnato? E in che condizioni ha lavorato, quante ore al giorno? Chi pensa di trovare la risposta guardando alla tv “La domenica sportiva”, il “Processo di Biscardi” o “Novantesimo minuto”, resterà deluso. Perché la questione, oggi, sembra riguardare non tanto i campioni del calcio-parlato, quanto gli esperti di diritti umani, i volontari internazionali, i sindacalisti. È grazie a loro, infatti, se qualche anno fa si è fatta luce sulla drammatica vicenda dei bimbi-schiavi in Pakistan, costretti a fabbricare palloni per poche lire al giorno. Dalle denunce si passò rapidamente alle inchieste, poi vennero i mea culpa delle aziende sportive accusate di sfruttare il lavoro infantile, che si affrettarono a varare codici di autoregolamentazione.
E oggi? Dopo gli scandali, cosa è rimasto? Chi produce, e come, non solo palloni, ma anche scarpini, scarpe da ginnastica, tute, insomma l’abbigliamento sportivo? "La situazione non è molto cambiata. Sì, è vero, i bambini sono scomparsi dai centri di produzione, anche se non siamo in grado di dire se vengono utilizzati di nascosto, in casa o in piccole officine. Ma le grandi marche sportive, come Nike, Reebok o Adidas, continuano a produrre soprattutto in Asia, Africa ed Europa dell’Est, attraverso industrie locali che molto spesso impiegano manodopera sottopagata, che lavora in condizioni proibitive e che è priva di garanzie sindacali.
 I codici di autoregolamentazione non vengono applicati, di solito i lavoratori ne ignorano addirittura l’esistenza". Carole Crabbé è la coordinatrice per il Belgio francofono della campagna internazionale Vétements propres (Vestiti puliti), che da un paio di anni, al grido di “Cercate l’etica sotto l’etichetta”, ha cominciato a indagare sui sistemi di produzione delle grandi marche di moda e sul rispetto dei diritti sindacali dei lavoratori utilizzati negli stabilimenti, coinvolgendo migliaia di consumatori. Ed è proprio da quell’esperienza che è nata l’idea di una campagna sugli Europei di Calcio, i cosiddetti
Euro2000, che si giocheranno dal 10 giugno al 2 luglio in Belgio e nei Paesi Bassi.
        Tutto è cominciato l’estate scorsa con un appello pubblicato su Le Soir, il più venduto quotidiano belga di lingua francese: centinaia di persone, tra cui uomini politici, personaggi dello spettacolo e dello sport, ma anche cittadini qualsiasi, hanno chiesto alla Uefa e al comitato organizzatore di Euro2000 di applicare il codice di condotta già approvato dalla Fifa (la federazione mondiale del calcio), che vincola i fornitori di materiale sportivo al rispetto delle convenzioni sui diritti fondamentali dei lavoratori. "Diciamo no ai trucchi, alle partite vendute, al doping - si leggeva nell’appello, sostenuto anche da una quarantina di Organizzazioni non governative - Ma diciamo no anche a chi imbroglia sui diritti dell’uomo.L' industria tessile, al servizio delle
grandi marche e dei distributori di materiale sportivo, è uno dei settori in cui si verificano le peggiori ingiustizie. Ingiustizie che riguardano bambini, donne e uomini, privati dei diritti più elementari: salari ridicoli, orari impossibili, repressione sindacale".
Lo slogan, della campagna è Le supporters doivent-ils tout supporter? (“I supporter del calcio devono sopportare tutto?”). E sono stati soprattutto loro, i tifosi, a firmare l’appello, che in poche settimane ha raccolto oltre cinquemila adesioni, tra cui quelle dei giocatori e dei dirigenti dell’Excelsior di Mouscron - squadra che gioca in serie A - e di Robert Wassage, l’allenatore dei Diables Rouges, la nazionale belga (sponsorizzata dalla Nike, come del resto l’équipe olandese). Nel frattempo, il regista Benoìt Marriage ha cominciato a girare un videoclip promozionale per la campagna, e i giornalisti della Rtbf (la tv francofona) e di Vrt (fiamminga) hanno realizzato un reportage nelle fabbriche indonesiane che producono per conto delle grandi marche sportive.
Insomma, una vera e propria mobilitazione pubblica, che continuerà in primavera con un torneo europeo di calcio a 5 promosso dalle Ong - la finale sarà a Mons il 13 maggio - e con una campagna capillare negli stadi, per informare in primo luogo i “consumatori di calcio”.
        Ma cosa dice il codice della Fifa, di cui si chiede l’estensione anche a Euro2000? L'accordo tra la federazione del calcio mondiale e le principali associazioni internazionali dei sindacati - sottoscritto nel 1996 - chiede semplicemente ai fornitori di materiale sportivo l’applicazione delle convenzioni sul lavoro già esistenti: divieto del lavoro obbligatorio, nessuna discriminazione sul posto di lavoro, divieto di utilizzo dei minori sotto i 15 anni, libertà di associazione sindacale, giusto salario, rispetto degli orari di lavoro (48 ore più 12 di straordinario al massimo), ambiente salubre. Niente di rivoluzionario, insomma, non si chiedono nè le 35 ore nè aumenti di stipendio. Eppure la Uefa, la più ricca e importante federazione di calcio, non
si decide ad applicare quel regolamento. Un primo risultato è stato comunque ottenuto: il Comitato organizzatore degli Europei, infatti, inviterà le squadre partecipanti a osservare il Codice. Senza impegno, ovviamente.
        Ai signori del calcio europeo i promotori della campagna hanno fornito
anche una ricca documentazione sull’attività di Nike e Adidas, le due società
candidate a sponsorizzare i campionati 2000. Per esempio: sapevate che un’operaia bulgara, impiegata nelle fabbriche dove si produce per conto dell’Adidas, ma anche della Puma, guadagna poco più di l00mila lire al mese, quando la soglia della povertà in quel paese è fissata a circa 850mila lire? Oppure che una giornata di lavoro alla Nike, per un operaio vietnamita, non basta neanche ad assicurare l’acquisto di tre pasti?
        E anche il rispetto degli stessi codici di condotta adottati ufficialmente dalle multinazionali dell’abbigliamento sportivo resta virtuale: secondo un’inchiesta condotta nel ‘97 da un cartello di Ong, solo il 30 per cento dei lavoratori della fabbrica Wellco, in Cina, dove si produce sotto il marchio Nike, aveva sentito parlare di un “codice di condotta”; nell’impianto di Yue Yuen, invece, il codice era assolutamente sconosciuto. "La Nike continua a rivendicare una politica di ‘trasparenza’, e per difendere la propria immagine ingaggia studenti per ispezionare le proprie fabbriche nei paesi a rischio - dice Carole Crabbé - ma per fare un lavoro del genere ci vogliono persone esperte, ispettori del lavoro, non certo studenti. Altrimenti, si tratta
solo di un’operazione di marketing".
        Ancora, le Ong hanno documentato recentemente - in particolare in Asia - casi di licenziamento in massa di operai sindacalizzati, lavoro straordinario non retribuito, utilizzo di sostanze chimiche pericolose senza adeguate protezioni. E gli episodi segnalati sono un po’ troppi, per spiegarli con un’eccezione statistica.
        Perché? Per rispondere a questa domanda, basta guardarsi i piedi, prima di dare un calcio al famoso pallone. Volete sapere come si compone il prezzo finale di un paio di Nike - o di un’altra marca concorrente - che avete
appena acquistato? Intanto, un buon terzo del costo imposto al consumatore è determinato unicamente dall’importanza del marchio e, dunque, dal marketing. Al commerciante va circa il 50% , mentre il profitto del produttore si aggira sul 13%. L' 11% se ne va in ricerca, il 5% in tasse, l’8,5% in promozione pubblicitaria (che per la Nike ha significato, nel ‘96, quasi 700 milioni di dollari), l’8% in materiale di produzione. E alla manodopera, a chi produce materialmente quel paio
di scarpe? Restano gli spiccioli, o ancora meno: ovvero lo 0,4%.

OXFAM: QUANDO I CONSUMATORI FANNO LA DIFFERENZA

Oltre a coordinare la campagna “Vestiti puliti” e quella più recente sugli Euro2000 di calcio, Carol Crabbé si occupa soprattutto di commercio equo e solidale per i Magasins du monde - Oxfam, una Organizzazione non governativa nata negli anni ‘60 e che oggi in Belgio dispone di una rete che conta qualche decina di punti-vendita.
        "L' idea che è alla base della campagna Vétements Propres, ma anche di quella sugli Euro2000, è che oggi, i sindacati da soli non hanno più la forza di rispondere alla globalizzazione dell’economia - spiega la Crabbé - Eppoi, quando i consumatori sono informati possono costituire una vera forza dal basso, le loro opinioni contano. Ecco perché stiamo cercando di costruire una rete internazionale di sindacati, Ong e consumatori. Per esempio, qui in Belgio, dopo aver ricevuto migliaia di cartoline e fax, già 17 delle 29 grandi imprese di abbigliamento che abbiamo sottoposto a monitoraggio, per controllare come e dove vengono fabbricati i loro prodotti, hanno risposto agli appelli".
        La risposta alla campagna Euro2000 da parte del pubblico qual è stata, finora? "C’è stata una campagna mediatica molto importante, i giornali si sono occupati dell’argomento, e il fatto che l’appello sia stato firmato anche da giocatori e dirigenti sportivi ha dato ancora più risonanza all’iniziativa. Abbiamo avuto un primo incontro con il direttore di Euro2000, Alain Courtois. A lui e alla Uefa abbiamo chiesto un impegno preciso: non firmare alcun contratto di sponsorizzazione se prima le imprese interessate non accettano di rispettare le stesse condizioni poste dalla Fifa ai propri fornitori, cioè i diritti fondamentali dei lavoratori".
        Se la Uefa non dovesse accettare ie vostre richieste, potreste lanciare un boicottaggio degli Euro2000, proponendo insomma uno “sciopero del calcio”? "No, niente boicottaggi. E un' arma che utilizziamo solo quando ce lo domandano direttamente i lavoratori, chi soffre le conseguenze di certe scelte politiche o economiche. Fu così per l’apartheid in Sudafrica, negli anni ‘80, è così oggi per la Chiquita".
        La famosa “banana 10 e lode” è infatti da oltre un anno al centro di un’altra campagna dell’Oxfam, che ha lanciato un vero e proprio appello al boicottaggio per protestare contro le condizioni di vita dei lavoratori - sotto pagati e spesso privi di diritti sindacali - e l’utilizzo massiccio di sostanze chimiche, ai danni dell’ambiente e dei consumatori. (Info sulla campagna Euro2000 e sulle altre attività dell’Oxfam: www.mdmoxfam.ngonet.be). 

L’ESTATE DEI CAMPIONATI

Tre settimane di tifo & gol. I prossimi campionati Europei di calcio, il più importante appuntamento sportivo dopo le Olimpiadi e i Mondiali, si terranno dal 10 giugno al 2 luglio di quest’anno in due stati, ed è la prima volta nella storia di questa manifestazione: Paesi Bassi e Belgio.
        Sedici le squadre partecipanti: oltre alle équipe dei due padroni di casa - ammesse di diritto - ci saranno anche Italia, Norvegia, Francia, Svezia, Spagna, Romania, Jugoslavia, e Repubblica Cera, che hanno vinto nei rispettivi gruppi; la Germania, detentrice attuale del titolo dopo la vittoria del ‘96; il Portogallo, miglior secondo piazzato, e ancora la Danimarca,
l’Inghilterra, la Slovenia e la Turchia, che hanno superato i play off. Fuori campo restano invece ben 35 squadre nazionali, che non sono riuscite a passare il turno.
        La prima partita si giocherà sabato 10 giugno a Bruxelles, nello stadio intitolato al Re Baldovino, mentre la finale sarà disputata domenica 2 luglio al Feyenoord di Rotterdam. Le due semifinali si terranno invece il 28 giugno a Bruxelles e il giorno dopo ad Amsterdam, nello stadio Arena. Il meccanismo del campionato è semplice: le sedici squadre sono divisi in quattro gruppi, e le prime due qualificate di ogni gruppo accedono ai quarti di finali.
        Come già per i Mondiali di calcio del ‘98, il problema principale degli Euro2000 sembra essere quello della sicurezza fuori e dentro gli stadi: ed è per questo che già da tempo il comitato organizzatore e i ministeri degli Interni di Paesi Bassi e Belgio (particolarmente sensibile dopo la tragedia dell’Heysel di Bruxelles) hanno promosso una serie di seminari e incontri
con le autorità dei paesi partecipanti per prevenire eventuali incidenti. Ad esempio, attraverso la costituzione di una banca dati europea degli hooligans schedati.
        Infine, se desiderate maggiori informazioni sui campionati, le squadre che vi partecipano e le date degli incontri, ecco due siti Internet: soccernet.com/euro2000 oppure www.euro2OOO.be (dove si possono acquistare direttamente anche i biglietti per le partite).

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