"Katia"

Un racconto di Sandro Santori pubblicato da "Il Calcio Illustrato" del marzo 2002

Quando il terzino sinistro del Foroni colpisce alla buona e manda la palla direttamente sul fondo, una persona, dalla panchina, lo rimprovera con fare deciso: passi corti, Marti, passi corti. La persona si chiama Katia.
E’ una domenica quasi calda per il freddo inverno di quest’anno. Il sole ha sciolto la brina sul campo di Via Lussemburgo: Foroni contro Eridano, serie D femminile in quel di Verona.
Il Foroni è da anni nel calcio femminile. Oltre a una squadra di serie A, ha una vera propria scuola calcio e alcune compagini di ragazze che gareggiano nelle serie minori. Le ragazze in campo sono tutte dell’85, dell’86, dell’87. Katia, nata nel ’73, era ieri pomeriggio a Gravina di Catania per il campionato nazionale serie A, oggi è qui. Questi tour de force sono la normalità per una pendolare del pallone. Il martedì e il giovedì parte intorno alle 15.00 da Anzola dell’Emilia, alle 17.30 dirige l’allenamento delle sue ragazze, alle 20.00 inizia il suo allenamento con la serie A. Alle 22.30 prende la sua auto e se ne ritorna a casa.

Katia assiste alla partita in piedi: rimproveri, indicazioni, incitamenti, complimenti, applausi. Non fa mancare nulla alle sue giocatrici. Per questo è tra le prime a sentire il bisogno di dissetarsi. Negli spogliatoi, davanti alla lavagna, aveva tirato fuori tutto il calore dell’insegnante premurosa ma esigente. Aveva insistito molto sui movimenti elementari, sulle sovrapposizioni e su come scalare in difesa.  Quando Manu, incontenibile sulla fascia sinistra, ha messo al centro per il gol di Valpo, Katia ha avuto uno scatto di soddisfazione e ha suggerito: Magna, Magna, non seguire l’avversaria, controlla la tua zona. E ancora: Crive, più convinzione!
Si ha l’impressione che Katia parli per acronimi. Nomi, cognomi, soprannomi, tutto si riduce all’essenziale: due sillabe e via. Non si mangia le parole: riduce le sillabe inutili per ottenere una comunicazione più veloce. La differenza tra l’avvertimento “attenta Emanuela” e l’altro “attenta Manu” è quella che basta per impedire l’anticipo di un’avversaria. Prima che Azzurra tirasse una punizione da venticinque metri, prendendo la traversa e facilitando il secondo gol, Katia l’aveva incitata: vai Azu!

Prima della partita avevo organizzato una piccola combriccola clandestina con le ragazze, chiedendo i loro giudizi sull’allenatrice. I difetti e i pregi emersi sono quelli tipici della professione: irascibile, esige concentrazione, comprensiva, ci dà la carica, non molla mai. Ma la cosa più bella di Katia, mi hanno confidato con entusiasmo e allegria le giovanissime della Foroni, è Cristian, il suo fidanzato.
Quando Denise s’invola, con falcata elegante e ferina, verso la porta avversaria e spara sul portiere in uscita, la delusione in Katia dura una frazione di secondo e poi le parte un applauso convinto. Quando Denise è travolta in area da un intervento più che sospetto, è l’allenatrice la prima ad invitare l’ala destra ad alzarsi: se l’arbitro non l’ha visto, non è rigore. E’ sempre lei che rimprovera Agnese, detta Catenaccio, dopo un fallo: chiedi scusa e torna in posizione.
Viene da domandarsi: l’aspetto tecnico, atletico, tattico, psicologico, educativo, quanti compiti ci sono sulle spalle di un’allenatrice?

Dopo la partita, i commenti, i saluti e l’organizzazione della trasferta per la domenica successiva, si torna ad Anzola. Al giornalista non resta che salire sulla Punto dell’allenatrice. Katia guida con sicurezza e disinvoltura. Che oltre il diploma all’ISEF abbia conseguito un attestato di guida a Maranello? Si volta spesso verso di me durante il viaggio. Si disegnano due piccole pieghe ai lati estremi delle sue sopracciglia, ad accompagnarne il movimento. Le sopracciglia si arcuano e si rilassano seguendo il senso del discorso, mentre il verde dell’iride e il nero della pupilla rimangono inchiodati sull’interlocutore. E’ uno sguardo che cattura attenzione e non intimorisce. Mi racconta che, durante gli allenamenti, il novanta per cento dei movimenti vanno fatti con la palla, poiché è l’unico modo per infondere nelle ragazze una maggiore confidenza tecnica. Mi spiega che a migliorare l’aspetto atletico c’è sempre tempo, mentre si è sempre in ritardo per quello tecnico.
Percorriamo l’autostrada fino a Modena sud, poi Spilamberto, Piumazzo, Ponte Samoggia e Anzola.
“E il futuro?”, le chiedo a bruciapelo, prima di scendere dall’auto.
“L’ho progettato insieme al mio ragazzo. Altri quattro o cinque anni in serie A, poi faccio un bimbo, sto ferma un anno e dopo provo ad allenare.”
Katia è una donna dalle idee molto chiare.