"Italia! Italia! Italia! Italia!"
Un racconto di Sandro Santori pubblicato da "Il Calcio
Illustrato" del febbraio 2003
I cinquantamila dello stadio Olimpico erano tutti in piedi ad ascoltare
gli inni nazionali e Antonio si era commosso. Aveva messo la mano sulla
spalla di Francesco, il figlio che gli stava a fianco. Poi, senza renderne
conto, aveva detto: se fosse viva la mamma… come sarebbe contenta.
Noi italiani siamo fatti così. Nei momenti di felicità
apriamo le vecchie ferite, quelle mai rimarginate. Antonio, cameriere e
pizzaiolo a Praiano, sulla costiera amalfitana. Gli ultimi quindici anni
a fare da padre e da madre, perché la vita dà e la vita prende.
Senza chiedere come e perché.
Antonio aveva lavato molte volte quei piedi che calpestavano l’erba
dell’Olimpico e ora sentiva scoppiargli in petto l’orgoglio di padre. Sulla
maglia azzurra numero otto c’era un cognome che lo confondeva: MARRESE.
Era stato il professore di Educazione Fisica delle medie a convincerlo.
A Praiano non c’erano molte possibilità, mentre lui aveva un amico
a Firenze che dirigeva una scuola calcio. Avevano degli appartamenti
per chi veniva da lontano e garantivano il proseguimento degli studi. Soldi
non se ne sarebbero spesi, anzi c’era da guadagnarci. Gli aveva detto:
“Sa com’è, signor Marrese, le società di calcio hanno il
loro interesse ad accaparrarsi i talenti sin da piccoli, trattarli bene
e trasformarli in campioni.” I nonni si erano comportati secondo tradizione:
i figli sono piezze ‘e core… e Firenze è troppo lontana… e che ci
sarà da mangiare… e a quest’età le creature si tengono a
casa.
I sentieri e le scalinate di Praiano vanno su e giù: la casa,
i terrazzamenti a vigna, la pizzeria, la spiaggia. Antonio non aveva visto
molto dell’Italia. I camerieri fanno tanta strada, ma sempre la stessa.
Ad una certa età aveva capito che è meglio essere una lumaca
che una trottola. Il destino ha carte segnate e carte da segnare. Se un
padre non è più in tempo a modificare la propria storia,
lo è, però, per facilitare quella dei figli. Preparò
le valigie per Firenze.
Una volta si andava dal parroco per farsi leggere, e per rispondere,
la corrispondenza di coloro che erano andati in emigrazione. Meno male
che oggigiorno, pensava Antonio, ci sono i telefoni cellulari e la posta
prioritaria che arriva in due giorni. Si ricordava ancora le prime lettere.
Le telefonate e i racconti che i fiorentini erano brava gente, magari un
po’ bruschi. Che si mangiava bene e che si faticava a studiare la sera
dopo gli allenamenti. Che si andava in campo tutti i pomeriggi. Si curavano
la tattica, la tecnica e il lavoro in palestra. L’esordio in serie A a
soli diciotto anni. Il trasferimento a Roma. L’iscrizione all’ISEF: perché
nel futuro del calcio ci sarebbe stato bisogno di persone intelligenti
e preparate. E le nonne a storcere meno la bocca e a sentirsi orgogliose.
E nessuno più a rimproverarlo.
Un esordio in Nazionale a ventidue anni, chi se lo sarebbe aspettato?
Erano l’inno di Mameli e la maglia azzurra che gli mettevano in moto emozioni
incontrollabili o c’era dell’altro? In nazionale… in nazionale. Ripeteva
dentro di sé, avendo l’impressione di un cerchio che stesse per
chiudersi. Quando gli obiettivi più impensabili vengono raggiunti,
le emozioni esplodono. Le energie impiegate diventano un boomerang e ci
si accorge di essere svuotati. Il signor Marrese capì, inoltre,
che quel numero otto aveva imparato a camminare autonomamente e che avrebbe
continuato per la sua strada anche senza l’ausilio di un padre.
La Norvegia era proprio forte e la squadra azzurra badava più
che altro a difendersi. L’orgoglio di padre e un’inesplicabile malinconia
saturavano l’aria in tribuna Monte Mario, quando il sette azzurro
si lanciò sulla fascia destra inseguito dal sei norvegese.
Rinunciò ad accentrarsi e si spinse verso il fondo, dando modo al
nove e all’otto di seguire l’azione in posizione più centrale. Il
cross partì basso e radente verso il limite dell’aria e fu colpito
al volo dal nove azzurro, in anticipo sul quattro norvegese. Colpita bene
di collo destro la palla s’impennò e centrò il palo alla
sinistra del portiere.
L’otto azzurro aveva seguito l’azione, quasi in linea con il centravanti.
Fu così che Lucia Marrese si trovò una palla tra i piedi
poco fuori l’area, il portiere a terra nel lato opposto. Per una guagliona
di Praiano che aveva studiato calcio a Firenze non fu difficile centrare
la porta. Mentre la coda di cavallo della ragazza veniva soffocata dagli
abbracci delle compagne, il signor Marrese mise le mani sulla faccia.
La commozione stava per trasformarsi in una cascata prorompente. Poi:
ch’aggia chiaggne a’ffà? E’ una bella giornata!
Si alzò di scatto e iniziò a gridare insieme ai cinquantamila
dell’Olimpico: Italia! Italia! Italia! Italia!