Da Il Corriere della Sera del 12/01/03

Tredici anni, è capitano della squadra femminile under 15 che rappresenta lo Stato ebraico. "Queste amiche sono il regalo più bello che il calcio mi ha dato

I gol di Reem l´araba, orgoglio di dieci ragazze israeliane

Il padre: "Il rapporto tra le giocatrici e tra noi parenti dimostra che potremmo vivere in pace"

ABU SINAN - La sensazione che le resta addosso - dopo la doccia, dopo aver lasciato gli spogliatoi, dopo il viaggio insonnolita verso casa - è l´abbraccio delle compagne di squadra. Se lo aspetta ogni volta che segna un gol, rinvia il momento correndo da sola per tutto il campo, poi cede, le altre la tirano a terra e la sommergono: dieci ragazzine ebree che portano in trionfo l´unica araba della squadra. Reem Musa, 13 anni, è la numero 10, la capocannoniere, la più forte. Più forte anche dei maschi. Forse troppo per loro, nel quartiere non vogliono più giocare contro la "campionessa".
A casa di Reem, nel villaggio di Abu Sinan a Nord di Israele, tutto parla di lei: le coppe esibite sulla libreria in salotto, il televisore (quello con lo schermo più grande) usato per rivedere le partite, le impronte dei tacchetti sul campo dei genitori dove ogni tanto si allena tra gli ulivi. E tutti parlano di lei, in un coro familiare sovrastato dal padre Atalla - manager, allenatore "ombra", capo della tifoseria personale - e accompagnato dalle voci della madre Afifa, 42 anni, e dei tre fratelli Shihade (19), Manza (15), Shadwan (11), Jasmin (8).
Le stampe con gli insegnamenti del Corano condividono il posto d´onore con la lettera di ringraziamento inviata dal premier Ariel Sharon, dopo il campionato del mondo under 15 giocato a Rotterdam in giugno. Le giovani della nazionale israeliana hanno perso in finale contro la Francia (1-0) e la sconfitta pesa ancora su Reem. Ogni mattina, mentre tutti dormono, consuma la videocassetta della partita per vedere e rivedere quegli ultimi minuti, con tutto il senso di responsabilità che tocca al capitano.
Ma il viaggio in Olanda ha regalato alla famiglia Musa una vittoria più importante, il giorno della partenza dall´aeroporto di Tel Aviv. Gli uomini della sicurezza avrebbero voluto perquisire Reem e il padre in una stanza separata, con una procedura più rigida che viene riservata agli arabi israeliani. "Quando le altre ragazze hanno visto che ci stavano portando via - ricorda Atalla, 48 anni - hanno cominciato a protestare con i poliziotti e hanno minacciato di non partire se Reem non fosse passata assieme a loro. Urlavano: "Siamo tutte nella stessa squadra e come una sola squadra vogliamo essere trattate". Alla fine le guardie hanno ceduto".
Prima di Reem e dei suoi successi, la cittadina di Abu Sinan - 13 mila abitanti tra musulmani, drusi, cristiani - aveva fatto notizia perché da qui era partito il primo (e fino ad ora unico) kamikaze arabo israeliano. Mohammed Shaqir Habeishi si era fatto saltare nel settembre 2001, uccidendo tre persone alla stazione di Nahariya e l´estrema destra aveva considerato quell´attacco suicida come la prova che il milione di arabi con nazionalità israeliana (circa il 18% della popolazione) rappresenta un nemico dentro ai confini del Paese. "Io sono israeliano, ho un passaporto e una carta d´identità israeliani - dice il padre di Reem -, ma sono anche palestinese e orgoglioso di esserlo. Rappresento una piccola parte di questa nazione e nessuno potrà mai togliermelo. Perché io sono fedele a questo Paese, dove sono cresciuto e sono stato educato".
Reem non fa commenti politici, i grandi occhi blu si allargano solo quando c´è da parlare di calcio: i suoi idoli (soprattutto brasiliani: Pelé, Roberto Carlos, Ronaldo), i suoi gol (una media di due a partita nello scorso campionato giocato con il Fox Kids Hadera), il suo futuro (per forza legato allo sport, insegnante di educazione fisica o fisioterapista), le offerte da squadre tedesche o svedesi.
Porta i capelli molto corti - unico spiraglio estetico, due microrecchini - e ha già sviluppato muscoli che le permettono di dominare in campo. Ma tra i vicini di casa c´è chi mugugna. Il Corano - sostengono - vieta alle donne di andarsene in giro con i pantaloncini, ancora peggio se indossati davanti a un centinaio di tifosi che non tolgono gli occhi dai tuoi dribbling e dalle tue gambe. "Non hanno mai osato dirmi nulla in faccia - spiega il padre, che come medico in paese conosce tutti -. Noi siamo osservanti e vi dico che l´Islam non proibisce alle ragazze di fare sport. Anzi Maometto incoraggia i genitori a mandare i figli a nuotare e a cavalcare. Il problema sono quei musulmani che vorrebbero tenere le donne sempre coperte".
Il viaggio da Abu Sinan ad Hadera per allenarsi due volte alla settimana porta via tre ore tra andata e ritorno. Reem fa i compiti in macchina e lungo il tragitto - il padre le fa anche da autista - spesso raccolgono due compagne di squadra. Una di loro, Noi Deri, 12 anni, è la complice nelle strategie in campo ("con i suoi passaggi prepara i miei gol") e la migliore amica.
Quella di Reem è un´eccezione. La diffidenza reciproca tra arabi israeliani ed ebrei rischia di rafforzarsi perché crescono senza conoscersi. Fino al liceo, per la maggior parte, frequentano scuole diverse e gli arabi sono esentati dal servizio militare. Il sospetto cresce quando cresce la paura: lo Shin Bet, il servizio segreto per la sicurezza interna, ha evidenziato nei giorni scorsi l´aumento nel numero degli attentati organizzati con l´aiuto di arabi israeliani. "Ma il rapporto che si è creato tra le ragazze e tra noi genitori dimostra come potremmo vivere insieme in pace", commenta Atalla. La madre interviene per ricordare quando, una decina di giorni fa, casa Musa è stata invasa dalle compagne di squadra e la festa è finita a cuscinate fino alle 6 del mattino. "Queste amiche sono il regalo più bello che il calcio mi ha fatto", dice Reem. Che riconosce una sola differenza con le ragazzine ebree: lei non ha ancora il fidanzato.
 
Davide Frattini