A Lele,
per ringraziarti dell’esperienza

di sport
e di vita che ci hai fatto vivere.
UNA PICCOLA
GRANDE
STORIA
di Giulia Drioli
Quella che racconterò è una storia di sport, ma non si tratta
di una semplice cronaca dei fatti, avendola vissuta in prima persona ho
presentato le vicende dal mio angolo visuale, così come le ho viste
io. L’ho scritta con il cuore, seguendo i miei stati d’animo per cui posso
aver enfatizzato alcuni aspetti per me positivi, così come, tra
le righe, si può leggere tutto il rancore che provo verso certe
persone.
Quando tutto è cominciato
venivamo da un campionato di serie C 1 terminato all’ultimo posto in classifica,
addirittura all’ultima partita eravamo in 11 o 12 infatti era capitato
che già durante l’anno, per motivi di salute, il capitano ci aveva
dovute lasciare, e anche altre ragazze un po’ alla volta se n’erano andate.
Quella parte di noi che era
arrivata fino in fondo era rimasta perché voleva giocare; così
siamo andate in cerca di un allenatore fiduciose di trovare altre ragazze
che si volessero unire a noi per “ricominciare”, già ripartire da
zero (e soprattutto da un altro campionato).
Ci siamo riunite ed è
stata concordemente accettata la proposta del marito di una compagna, ex
nazionale di rugby, il quale era venuto a qualche partita e si era contraddistinto
per incitamenti nei confronti di tutte con una gran ”grinta”, dico così
per non dire che , insomma, urlava molto forte.
Rammento che una di noi aveva
apprezzato proprio questo atteggiamento perché dava coraggio, al
contrario della vecchia allenatrice che, a suo parere, non dava abbastanza
stimoli durante la partita; tuttavia, dopo tre anni, la stessa persona
si è stufata di sentirsi ”urlare dietro” dall’allenatore, in quanto
avrebbe avuto dei metodi troppo “duri”.
Lele, così si chiama,
ha iniziato a guidarci in un torneo estivo grazie al quale sono state contattate
alcune ragazze; io sono rimasta colpita da quante cose diceva prima della
partita, con quale convinzione e competenza.
Quando sono iniziati gli allenamenti,
innanzitutto, si è iniziato almeno una settimana prima del solito,
il che ha dato subito una svolta al modo di fare che c’era prima e qualche
ragazza ha detto che finalmente si facevano degli allenamenti seri come
non era da tempo, e comunque per loro che giocavano da anni non era poi
la prima volta.
Sarebbero tante le cose da
dire che spero di non tralasciarne troppe.
Il primo anno è stato
di certo il più sereno, c’era l’entusiasmo, l’impegno, la voglia
di fare, non so come dire… la fatica da fare era tanta, certo, ma era una
sfida ,la “nostra” sfida, la sfida di un GRUPPO di ragazze che giocano
a calcio, consistente anche nel dimostrare che non si è da meno
dei colleghi maschi e che si può anche essere migliori, più
costanti nell’impegno e più unite. Alcuni allenatori delle squadre
maschili si meravigliavano del nostro zelo per quando scendevamo in campo
ad allenarci con qualunque tempo, per gli allenamenti nel periodo natalizio,
si stupivano dicendo che i maschi non dimostrano la stessa serietà.
La prima cosa che abbiamo
imparato è stata proprio l’essere gruppo ed è stato fondamentale
per tante vittorie, non solo sul campo.
Tornando al primo anno è
stato quello in cui contava arrivare primi in campionato, e presto ci rendemmo
conto d’essere più forti delle altre squadre dopo esserci rafforzate,
come si è visto fin dalle prime partite quasi sempre vittorie con
grandi margini, fino a 15 gol in una partita, così quando dopo il
primo tempo eri almeno sul 5-0 c’era posto per tutti.
Sebbene le cose stessero così
e i risultati erano pressoché assicurati abbiamo avuto le nostre
”partite della vita”, era una carica incredibile sapere che se vincevi
avresti ottenuto qualcosa: ad esempio mantenere il primo posto in classifica
vincendo contro una diretta inseguitrice o la matematica certezza di vincere
il campionato con qualche domenica d’anticipo e così la gioia strabordante
quando abbiamo vinto su una squadra con la quale c’era una certa rivalità,
ricordo ancora la bottiglia di spumante che ha schizzato da tutte le parti
in quello spogliatoio piccolissimo raggiungendo anche le mie scarpe tuttora
macchiate… un ricordo indelebile. L’allenatore quel giorno, nonostante
fossimo verso la fine del campionato e dunque faceva parecchio caldo, soprattutto
in quella bellissima giornata di sole non ha voluto per scaramanzia, da
vero sportivo, togliersi il giaccone che ogni domenica aveva indossato
e che aveva portato tanta fortuna.
Ricordo ancora i nostri giri
dell’intero complesso polisportivo, dall’esterno per non fare troppi giri
su noi stesse in campo, quelle corse sull’asfalto quando all’ultimo pur
non potendone più facevi quell’ultimo giro più veloce, sembrava
di non farcela soprattutto negli ultimi metri, quelli in cui se hai ancora
un po’ di fiato sono le gambe che non tengono più, eppure dopo tre
anni diventa un po’ più leggero. Eppure la fatica si dimezzava pensando
che comunque “si soffre insieme” perché si è una SQUADRA
ed è proprio quando credi di non farcela che è importante
continuare e superare il limite, è proprio in quei momenti che si
deve imparare a mantenere la concentrazione…” è così che
si vincono le partite”, ci diceva sempre Lele : quando l’avversario non
ce la fa più tu sei ancora fresco e lucido e allora si può
anche ribaltare un risultato e non è un caso.
L’allenatore è certo
una persona che deve avere autorità e non è da tutti, certo
ognuno ha il suo carattere, certo, a volte sembra quasi che ti voglia offendere,
ma se vedi che poi sa anche scherzare con te quando si è fuori magari
quando hai finito la partita e torni alla tua vita fuori dal campo; non
credo sia sbagliato chiedere un po’ di disciplina e di rigore, soprattutto
quando i risultati sono buoni.
Sicuramente ha voluto trasmetterci
dei valori attraverso lo sport, impegno, forza di volontà, onestà,
serietà, valori che non tutti sono disposti a rispettare, la forza
di volontà che ti fa andare avanti, la forza dell’essere gruppo.
Mi torna in mente anche quanto
affermava una ragazza (che era stata fatta venire da un’altra squadra ai
vertici della classifica): diceva di essere contenta di far parte di questo
gruppo e di non rimpiangere le vecchie compagne né la non partecipazione
al campionato superiore (serie B) appena conquistato, perché da
noi c’era un bel clima, un entusiasmo generale ed era proprio un bel gruppo;
peccato che, per lei, non sia stato così fino alla fine e che si
sia presto dimenticata di quanto aveva provato all’inizio.
Molto bello era quando il mercoledì
ci si ritrovava dalla partita della domenica e c’era la discussione
o meglio il discorso di Lele che si era segnato delle cose durante la partita
e aveva pensato scrupolosamente a quanto doveva essere detto per
migliorare, per correggersi, per crescere come squadra. Si trattava di
annotazioni sulla tattica, ma anche sui comportamenti da tenere dentro
e fuori dal campo finché non fosse finita la partita, sulla concentrazione
che non doveva venir meno, sulla serietà dell’impegno che ci si
era presi. Amava dire che eravamo come un “diesel”, partivamo piano, ma
poi piano piano veniva fuori la nostra preparazione atletica e spesso faceva
la differenza e permetteva di vincere negli ultimi minuti quando le avversarie
non ci stavano più dietro, era un modo, diceva, per sopperire a
eventuali carenze tecniche, ma in realtà c’era ben più di
una ragazza molto dotata, prova di quanto affermo è sia il fatto
che l’ultimo anno con Lele abbiamo avuto ben 5 convocate nella rappresentativa
regionale, e una di loro è stata chiamata perfino in nazionale under
18 dove gioca tuttora ed è in una squadra di B, sia che altre ragazze
nelle squadre dove sono andate a giocare successivamente sono non solo
titolari, ma tra le migliori in squadra. Ogni tanto Lele raccontava anche
qualche esperienza personale se poteva servire da esempio, in particolare
ci parlava di quando era anche lui atleta per farci capire che sapeva cosa
volesse dire quello che potevamo provare ora noi… le “sue ragazze”; altre
volte se poteva essere un’utile riflessione menzionava anche qualche esperienza
legata al suo lavoro.
Ci teneva che quando una non
poteva venire all’allenamento lo chiamasse personalmente, anche per dirgli
che quella sera non aveva voglia e basta; agli allenamenti eravamo sempre
quasi tutte e il gruppo era di una ventina di persone di media (ben diversa
dalla penosa situazione che si creò nello stesso ambiente dopo di
lui, quando ci si ritrovava spesso in 5 sempre gli stessi e gli altri praticamente
si vedevano solo alla domenica o comunque mai a correre intorno al campo,
ma solo per la “partitella”).
Ci teneva che le sue atlete
non fumassero e almeno in sua presenza non poteva essere altrimenti, e
lui era il primo a dare l’esempio, così come ribadiva l’ importanza
di non fare troppo tardi il sabato sera in vista dell’impegno del giorno
successivo, per un fatto di rispetto le une verso le altre al fine di garantire
la propria migliore prestazione.
Capitava che urlasse un po’
in allenamento, che chiedesse di non scherzare troppo e mostrare impegno
sin dall’allenamento, certo non voleva dire che poi non ci potesse essere
il momento per divertirsi ed anzi era lui il primo che a volte per incoraggiarci,
per spronarci buttava lì una battuta sulle prestazioni in campo.
Ognuno ha un suo carattere e di certo Lele non ha mai fatto niente con
cattiveria e quando qualcuno gli faceva notare d’aver sbagliato era pronto
a mettersi in discussione pur rispettando i suoi principi e rimanendo coerente
al suo stile (in fondo ognuno ha anche un certo orgoglio da mantenere).
Da un lato era un “duro”,
ma c’è modo e modo di intendere la cosa e qualcuno l’ha interpretato
in maniera negativa, come un’offesa personale o forse era solo una scusa
per voler fare a modo proprio, “liberi da…” e alla fine si è trasformato
in mero arbitrio privo di qualsiasi regola, dall’altro, però
per chi sa vedere al di là delle apparenze, non rimanendo in superficie
vedeva una persona sensibile, che ci teneva non solo alla squadra, ma alle
singole persone dalla più brava alla più scarsa, basti pensare
che nell’ultima convocazione per la ripresa degli allenamenti dopo l’estate
aveva scritto alla fine “un Grosso Bacione… Lele”, anche lui un “sognatore”,
una di quelle persone che ancora credono nel valore di piccoli grandi gesti
come il suo.
Un’altra cosa da ricordare
è che ci teneva al gruppo e voleva che si seguisse tutte quante
la squadra anche se non si giocava e al venerdì proponeva sempre
una pizza tutti insieme dopo l’allenamento, (ma poi, chi per un motivo,
chi per un altro, non si era appieno concretizzata la cosa). Comunque l’ultimo
venerdì di ogni mese si restava in sede per mangiare insieme una
pastasciutta e altro che avessero portato le ragazze.
Non si può non menzionare
la disponibilità e l’interessamento personale dell’allenatore quando
una ragazza si faceva male, cose che purtroppo capitano e che bisogna cercare
di superare con una certa serenità; se erano cose da poco diceva
“dai, che s’incarna il mestiere!”, e incitava a tirarsi su e continuare,
ma se era qualcosa di più grave non sottovalutava la situazione
e si vedeva che se la prendeva a cuore. Ha sempre cercato i migliori specialisti
per le “sue ragazze”, perfino se non ce ne erano in città e conosceva
un bravo medico fuori ,era pronto a portare lui stesso le persone soprattutto
quando si trattava delle minorenni che non avevano l’auto.
Un’altra cosa da ricordare
era che qualunque tempo ci fosse stato si scendeva in campo per l’allenamento,
della serie “noi, uomini duri”, abbiamo imparato a non tirarci indietro
di fronte a niente pur di rispettare il nostro impegno per la squadra,
pur di essere coerenti innanzitutto verso noi stesse, come l’esempio del
nostro allenatore per primo ci mostrava.
Altro grande merito del nostro
allenatore è stato quello di avvalersi di competenti collaboratori:
un preparatore atletico che programmava i carichi di lavoro per la parte
atletica dell’allenamento, un allenatore dei portieri, che già avevamo,
ma quando l’ultimo anno non poteva più venire ne ha subito cercato
un altro, e sempre nell’ultimo anno c’è stato un ulteriore coadiuvante,
che ha portato lui. Da questo si può comprendere con quale impegno
e devozione portava avanti il suo ruolo, pieno di responsabilità,
cercava di pensare a tutto e grazie alle sue conoscenze nell’ambiente sportivo
e alla sua competenza. Sebbene si può forse ritenere di spettanza
della società farsi carico di regali alle atlete per natale o a
fine campionato, oppure di ciò che riguarda l’aspetto di “immagine”,
sono state cose di cui si è occupato personalmente, procurandoci,
nei limiti di quello che era nelle sue possibilità, l’abbigliamento
per l’allenamento e la tuta di rappresentanza, nonché perfino avuto
i cappellini col nome della squadra, per non parlare dei regali personali
fatti nelle occasioni di ritrovo alle cene della squadra. Tutto questo
deriva dal fatto che ci mettesse “passione” in quello che faceva e andava
realizzando, costruendo giorno per giorno, allenamento dopo allenamento,
a differenza delle persone che agiscono per secondi fini, che hanno potuto
perché più potenti (dirigenti) distruggere la bella realtà
che aveva costruito con tanta cura.
Anticipo a questo punto che
la “nostra” bella storia non ha un lieto fine, anzi, ma forse si potrebbe
dire che non ha nemmeno avuto una fine. Insomma dopo tre anni, sebbene
la maggior parte delle ragazze si aspettasse di continuare e così
fosse nelle intenzioni dell’allenatore i dirigenti della società
hanno deciso che le cose dovevano cambiare e tutto ciò che si era
creato in quei tre anni andava buttato via e direi, che, per come l’hanno
fatto, buttato con un calcio e con disprezzo senza avere neanche il coraggio
di annunciare tale decisione apertamente, ma cercando di occultare il proprio
intento premeditato, gettando fango sull’operato dell’allenatore che pretendeva
troppo, sul suo carattere e sulla sua persona. Ora sarà anche vero
che ci chiedeva molto e che talora non lo chiedeva con modi gentili, ma
si sa che chi vuole ottenere dei risultati ha da fare fatica, inoltre Lele
stesso aveva ad un certo punto dell’anno chiesto se si volesse continuare
su certi livelli, essendoci delle buone possibilità di raggiungere
i primi posti della classifica, e la squadra, rappresentata dalle più
“vecchie” non si oppose.
Nessuno può negare
la sua professionalità nel condurre la squadra, la “sua” squadra,
fatta di persone nei confronti delle quali nutriva profondo rispetto e
dalle quali si sarebbe aspettato che lealmente, se qualcosa poteva non
andare bene gli venisse pure detto, e non che per inezie, per un diverso
modo di vedere le cose, legittimo entro certi limiti, si fosse collaborato
con chi alle sue spalle meditava di cacciarlo.
Verso fine campionato già
pensava all’anno a venire, a rinforzare la squadra, e aveva già
in mente di chiedere allo sponsor, quello da lui procurato di fornirci
una nuova muta, con i colori della maglia della nazionale australiana di
rugby, quel particolare giallo-oro e quel verde, e aveva già chiesto
cosa ne pensassimo se anche a noi piacevano quei colori, quando ce lo ha
detto si vedeva una particolare luce nei suoi occhi dovuta all’entusiasmo,
alla spontaneità, era sì, grande e grosso, faceva sì,
la voce grossa, ma poi era capace di quell’entusiasmo genuino delle persone
sensibili, sensibili e vulnerabili, che a volte devono pagare un prezzo,
restano con l’amaro in bocca perché c’è chi si approfitta
di loro.
Forse è stato quando
improvvisamente questa bella realtà ci è stata “portata via”
per la volontà di pochi che, però erano ai vertici della
società e potevano fare quello che volevano, già, forse è
stato proprio allora, che abbiamo dato uno sguardo a quello che ormai era
un “passato” per noi e ci siamo accorti di quanto valore avessero avuto
quei tre anni nella nostra vita, di che cosa “grande” avessimo costruito
noi ragazze, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita, grazie
ad un “grande”, il nostro amatissimo-odiatissimo allenatore.
In giugno a fine campionato
era sempre stato organizzato dalla società un torneo estivo
di calcio a 7, sul campo più piccolo, ma quell’anno nessuno se ne
occupò: fu quello un piccolo segno che in seguito vidi come totale
abbandono dell’allenatore, che durante l’ultimo periodo doveva occuparsi
di tutto senza aiuti dai dirigenti, che non si vedevano più in giro
come avveniva prima…lo avevano lasciato solo.
Ricordo perfettamente come
andò quell’ultima riunione in cui la squadra è stata “messa
alla porta”, neanche un grazie per il secondo posto in classifica, e senza
neanche l’imputato, dietro a coltri di menzogna, con gran mancanza di rispetto
di tutte quelle persone a cui non era stato chiesto né detto niente…
a questo punto mi sale una tale rabbia dentro, per non aver capito prima,
ma di aver realizzato solo in seguito quello che stava accadendo, ripensando
a certi episodi e un po’ alla volta ricollegando tanti piccoli fatti a
cui inizialmente non avevo dato peso.
Ho iniziato a comprendere
abbastanza bene dal momento in cui alla fine della riunione ci fossero
alcuni volti sorridenti, per nulla preoccupati di non festeggiare neppure
quel glorioso risultato: il 2° posto in classifica!! nonostante
vi fosse già una prenotazione al ristorante, indifferenti al fatto
di non poter esprimere il dovuto riconoscimento ad una persona che
avrebbe fatto tutto per la squadra e aveva realizzato quanto promesso tre
anni prima di fronte alla società. La riunione serviva solo da giustificazione
ufficiale, per far apparire che la decisione di non voler più continuare
il rapporto con l’allenatore fosse stata presa con tutta la squadra, ma,
in realtà tutto era già stato ben programmato da tempo dai
dirigenti, che negli ultimi tempi lo avevano lasciato solo senza fornirgli
spiegazioni. Almeno una parola di ringraziamento sarebbe stata dovuta,
ma si è invece voluto cominciare un nuovo capitolo, senza
preoccuparsi nemmeno di non aver finito l’ultima frase del precedente.
Che mancanza di rispetto, che ignoranza, che “povertà interiore”
per non provare nulla dentro, non partecipare a quella gioia di chi si
comporta onestamente e alle volte finisce per fare la figura dell’ingenuo.
Il fatto è che una persona “semplice” è sensibile e
generosa, mentre i furbi e i disonesti restano invischiati nella loro ipocrisia
che li acceca e li assorbe da non lasciare spazio per altro, non
c’è spazio per i buoni sentimenti, non c’è spazio per l’onestà
di dire quello che si pensa in faccia alla gente, soprattutto quando si
vuole cancellare in un attimo l’operato altrui, quando si deve passare
sopra la testa di molte persone, più deboli, contro le quali è
facile andare.
È stato facile distruggere
quello che un altro aveva costruito perché invece per costruire
qualcosa ci vuole fatica, perseveranza, forza di volontà, passione,
tempo, alla fine si è stanchi, ma contenti, se è stato qualcosa
di buono, se ha dato dei risultati, per distruggere è bastato poco,
nessuno sforzo nella posizione in cui erano, solo la forza meschina e primitiva
del più forte, solo la forza della prepotenza basta, un attimo e
tutto svanisce.
“Tutte le cose belle finiscono
prima o poi”.
“Quello che avevamo creato
non sarà più possibile…”
Quando ci ritroviamo è
come se il tempo non fosse passato e se fossimo ancora nella stessa squadra,
ora siamo, anzi più consapevoli di quello che c’è stato,
perché, da quando non è più il nostro presente, abbiamo
dato uno sguardo al passato e abbiamo potuto ritrovare nella memoria, dove
vengono custodite gelosamente, tante entusiasmanti emozioni, tanti buoni
sentimenti, tanta amicizia, tanta condivisione, certo, non da parte di
tutte, ma della maggioranza, eppure fino a un certo momento, anche per
loro erano dei veri sentimenti.
Ho voluto scrivere quello che ho vissuto in quei tre anni perché
avevo tanta rabbia dentro, infatti non ho saputo risparmiare i miei commenti
personali verso chi ci ha tolto, senza preavviso, senza dire apertamente
ciò che pensava, la nostra bella realtà e perché a
ripensarci quella che abbiamo vissuto mi sembrava una “piccola grande storia”.